Da Tik Tok al sequestro: fratelli Manna perdono il capannone ma…

Per carenza di alcune autorizzazioni sono stati messi i sigilli all’autosalone del noto tiktoker Pasquale Manna. I carabinieri della stazione di Qualiano (Napoli), insieme a personale dell’ufficio tecnico del Comune, hanno denunciato il titolare dell’autosalone che sorge in località Pozzo Nuovo. Pasquale Manna è un rivenditore popolarissimo sui social, in particolare su TikTok, per il suo stile ‘urlato’ e i siparietti con cui commercializza le automobili in esposizione.

I carabinieri della stazione di Qualiano, insieme a personale dell’Ufficio Tecnico del Comune, hanno controllato l’autosalone in località Pozzo Nuovo. I militari dell’Arma hanno accertato che l’intera struttura, costituita da un capannone per rimessaggio auto, uffici e locale lavaggio veicoli, non aveva le necessarie autorizzazioni edilizie; pertanto, l’intera attività, circa 3.700 metri quadri, è stata preventivamente sequestrata. Inoltre, i carabinieri hanno accertato che l’attività commerciale non aveva le autorizzazioni ambientali e la documentazione inerente la prevenzione degli incendi. Pertanto, al termine dei controlli il titolare è stato denunciato alla competente Autorità Giudiziaria.

Il commerciante di vetture usate dal prezzo assolutamente accessibile, vanta un pacchetto effettivo di quasi un milione di seguaci, presso la principale piattaforma video cinese. Coadiuvato dai figli che curavano le riprese video allorche’ presentava le vetture esposte focalizzando prezzi dai 500€ e massimo 10000, Pasquale Manna rappresenta il mattatore napoletano per eccellenza su Tik Tok, ibridando tecnicismo, professionalita’, sarcasmo e scambi vernacolari ma mai fonti di scurrilita’, incentrando i video anche su dialoghi e contrattazioni con i clienti. Mirabile nello sfruttare l’algoritmo principe di Tik Tok, i tratti popolari della napoletanita’e disponendo prezzi inverosimili se paragonati agli antagonisti, Manna ha anche probabilmente attirato l’attenzione delle forze politiche che mal digeriscono, sembra, i numeri di vendite che egli sciorinava, le offerte estremamente concorrenziali tra auto, prezzi ed accessori; cosi’ hanno cercato in filigrana certi problemi lontanamente legali giacche’ correlati alla burocrazia. Dunque il provvedimento di blocco attivita’ che, nella fattispecie, risultera’ quasi certamente temporaneo e vincolato al pagamento di sanzioni pecuniarie e costo amministrativi per legalizzare nel modo migliore, l’area posta a sequestro. Tuttavia questo episodio rientra nel avveniristico paradigma di completamento dell’identita’ digitale, come preconizzato dal Wef con Id 2020. Si tratta della possibilita’, per le forze dell’ordine e per i funzionari pubblici, di indagare in base alle visualizzazioni social e senza preventivo ordine della magistratura o denuncia: bensi’ in base anche alla visibilita’ digitale del soggetto in questione. E tutto cio’ calpesta dei diritti costituzionali  e civili. Prassi simile e’ stata fatta nei confronti di un tatuatore che cercava di cavalcare l’onda social, sempre su Tik Tok, per ampliare la propria clientela ed i conseguenti guadagni, che come quelli di tutti sono vessati dalla crisi. Cosi’ sulla base dei proseliti Tik Tok del suddetto tatuatore, il fisco e’ risalito al suo volume di affari ipotizzato sulla base di numeri e dati social; postulando tasse ingenti su fatturati che, a detta del tatuatore, non ci sono. Se a tutto cio’ si aggiunge l’obbligo recente, di associare al proprio profilo social il nome e cognome effettivi con tanto di altri dati veri, si evince come il controllo e possibili nuove e variegate procedure statali, politiche, fiscali, bancarie, amministrative, burocratiche, lavorative illegali, possano essere concretizzate in guisa centralizzata, irreversibile, draconiana, su numeri e post social che innumerevoli volte sono irreali i primi, e parte di diritti personali inviolabili, i secondi. Che l’agenzia delle entrate o le forze di polizia e della magistratuta pedinino i produttori di contenuti social a livello generico in una congiuntura di decrescita collettiva, in un costesto di iper inflazione, di cesura a servizi pubblici, pensioni, salari ed investimenti pubblici, di gabelle immani,  spaurisce e slatentizza un problema di nebulizzazione della democrazia. Il che e’ corredato e coadiuvato, da una dittatura digitale che si espande progressivamente.

Il fisco ha stretto un accordo con le megastrutture informatiche in cui recide di rettamente il pagamento per affitti brevi, binariamente all’Iva sui prodotti digitali, ma questo si traduce in un ridimensionamento del volume di affari interessanti resi possibile dai social e dalle piattaforme digitali, verso classe media e lavoratori. A cui si va ad aggiungere il costo sempre piu’ alto di gestione informatica, promozione aziendale social ed extrasocial che penalizza quei privati che ricavavano dal web un reddito extra teleologico al ridimensionamento dei rincari collettivi, alla stagnazione di emolumenti, pensioni, alla penuria delle offerte di lavoro appetibili, all’inflazione ed al mancato calo delle imposte. Tuttavia gli introiti dei giganti di Internet fatti in Italia come quelli di Facebook, Instagram, Google, Youtube, Microsoft, Amazon, non vengono tassati se non in percentuali ridicole. In questo pantano figurano in netto calo le vendite on line, nei settori della piccola impresa, dei piccoli professionisti ed altrettanto minuti esercenti commerciali. Vendite on line che non corrispondono piu’, mediamente, guadagni sufficienti a tamponare le perdite gestionali per le attivita’ fisiche, per rintuzzare l’inflazione galoppante, gli obblighi fiscali, assumere o ben retribuire nuovi e/o dipendenti datati; ne’ per calmierare i costi crescenti per la gestione e la crescita sul piano di Internet. Il che’ comporta una ulteriore batosta per la classe media. E sul Fisco che interviene analizzando i profili e le pagine social seguite, sembra una replica post moderna degli studi di settore. I quali hanno dimostrato tutte le loro tare, giacche’ il settore delle partite Iva, delle imprese medie e piccole e sopratutto quello dei redditi diffusi, in Italia non cresce da decenni. E’ opportuno allora, che la magistratura italiana intervenga sul potere discrezionale della politica, abrogando questi accordi digitali che impediscono ulteriormente, di far prosperare gli italiani comuni. Affinche’ si proceda anzitutto con la cesura delle imposte, la ripresa di cospicui investimenti pubblici declinati in servizi ed infrastrutture, il riadeguamento di emolumenti e pensioni all’inflazione, il calmieramento dei costi di energia, alimentari, carburanti, salute, assicurazioni. Ancora e’ opportuno che la magistratura intervenga affinche’ l’identita’ digitale non fosse un obbligo draconiano, affinche’ venga abolito il Credit Chrunch, i guadagni delle grandi aziende ricavati in Italia rimangano almeno per meta’, nei confini nazionali; e che le pubblicazioni ed i numeri social, non costituiscano oggetti di anamnesi che sfocino in limitazioni od avvantaggiamenti di alcun tipo. Solo attuando queste mosse, il corpo dei giudici italiano, puo’ continuare a render possibili gli accordi di pagamento fiscale che concernono le transazioni web.

Lascia il tuo commento
Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail