Ilva: mobilitazione meridionalista

SULL’EX ILVA SERVE UN’OPERAZIONE VERITÀ, NEL RISPETTO DEI LAVORATORI.
I lavoratori tarantini hanno ragione. E fanno bene a manifestare a fronte di un insopportabile tira e molla sul loro futuro.
La vertenza ex Ilva è soprattutto questo: una sfiancante sequenza di pareri contrastanti sul futuro di migliaia di famiglie tarantine, pugliesi, lucane e calabresi che gravitano dentro e fuori la produzione diretta ed indiretta nello stabilimento tarantino. Impianto che, spegnendosi lentamente, rischia di lasciare sparsi pesantissimi detriti ambientali e sociali.

Essere dalla parte dei lavoratori significa, però, dire la verità sino in fondo. Una verità che in tanti conoscono ma che in pochi hanno il coraggio politico di sostenere.
Ilva va chiusa e questo non significa chiudere la porta ai suoi dipendenti e a quelli dell’indotto.
Anzi, amministratori e governanti lungimiranti dovrebbero mostrarsi realmente capaci di proporre percorsi fattibili, sostenibili e ad alto tasso di occupabilità a garanzia quantomeno degli attuali assetti lavorativi.

Ma tutto questo non accade perché si spaccia l’utopia per il traguardo perdendo di vista il senso delle cose e la realtà scientifica con cui fare i conti.
Difendere il lavoro è sacrosanto. Proporre che sia al sicuro è un impegno civile e politico da mantenere perché si possa, eventualmente, ipotizzare una fabbrica non inquinante.
Ma utopia e traguardo non fanno rima … se non negli slogan di partito o nella dialettica falsamente ambientalista. Chi ha vera sensibilità ecologica e rispetto per la Salute e l’Ambiente dice cose chiare e le dice da sempre.

La famigerata decarbonizzazione (significa “senza carbonio”) non esiste così come viene sbandierata da troppo tempo e da troppi esponenti politici ed istituzionali.
Non esiste la possibilità di “ambientalizzare” (parola orrenda ma di moda) producendo acciaio con l’utilizzo del gas.
Perché il gas è un fossile e contiene carbonio. Dunque, decarbonizzare utilizzando ciò che invece si dichiara di voler eliminare è un controsenso!
Inutile e fuorviante, di conseguenza, pavoneggiarsi a tutori dell’ambiente della salute barattando un fossile inquinante per un altro.

Decarbonizzare significa invece rinunciare al fossile, utilizzando l’idrogeno.
In Svezia lo scorso mese ho visto di persona cosa significhi fare acciaio (ciclo ex novo o ciclo riconvertito) con l’utilizzo di idrogeno ed elettricità: in totale assenza di fonti fossili!!!!
Un traguardo eccezionale (non un’utopia!) sul quale in Europa stanno lavorando ma la cui fattibilità, a Taranto, per varie e documentabili ragioni tecniche, è ardua e non conveniente dal punto di vista occupazionale se non con la creazione di altre attività attinenti l’utilizzo di idrogeno in chiave di transizione ecologica”.
Documenti e calcoli alla mano, ne parleremo diffusamente e pubblicamente nei prossimi giorni…

Ricapitolando, solidarietà piena ai lavoratori in piazza a Roma.
Solidarietà alla quale però non allego sogni e speranze. Perché credo fermamente che a Taranto questo vecchio mostro d’acciaio vada chiuso, preservando il lavoro attraverso un netto e chiaro cambio di passo industriale.
Una virata che la Città e la Provincia si sono guadagnate con sacrificio storico.
Una virata che non potrà prescindere dalle bonifiche dei territori aziendali e del vastissimo circondario ionico contaminato dal 1960 ad oggi.

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Le proposte sono in campo da tempo: basta leggerle o ascoltarle. Tutto ciò, mentre al Tar pende l’ordinanza sindacale relativa alle emissioni di benzene registrate a Taranto; il Tribunale di Milano attende il parere della Corte di Giustizia Europea che dovrà pronunciarsi sui quesiti sollevati dai giudici circa la legittimità delle norme salva Ilva; e la commissione Europea, rispondendo ad una mia interrogazione sull’ultimo decreto salva Ilva, ribadisce che “chi inquina paga” e che la legittimità di qualsiasi scudo penale, dice in sostanza il commissario Virginijus Sinkevičius, deve fare i conti con “l’articolo 8 della direttiva sulle emissioni industriali” che “obbliga gli Stati membri a garantire il rispetto delle condizioni di autorizzazione.
In caso di violazione dello stesso, le autorità devono garantire che l’operatore adotti ogni misura appropriata necessaria per ripristinare la conformità nel più breve tempo possibile. Laddove la violazione presenti un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente, l’esercizio dell’impianto deve essere sospeso fino al ripristino della conformità”. Secondo molti le tecnologie per ridurre l’impatto ambientale dell’Ilva fino a vanificarlo ma salvaguardando la forza lavoro, esistono oppure vanno scientificamente trovate. A questo punto la diatriba su chi pagherebbe, cui si sommano gli attacchi provenienti da Radio Radio che attribuiscono al finanziere Mitterand, la colpa di smantellare l’Ilva per far funzionare impianti analoghi ma molto meno importanti, in Germania e Francia.

Anche in questo caso, verifiche di conformità normativa in corso tra leggi italiane e direttive europee.
Insomma, le solite note. Mentre ex Ilva di Taranto lentamente muore (lo diciamo da anni che sarebbe accaduto..) e i lavoratori chiedono di sapere di quale lavoro continueranno a vivere.
È il momento di una seria “operazione verità”! Questo e’ un comunicato di Piernicola Pedicini segretario del partito ultramerifionalista 24 agosto, con il cortollario dello sfogo proveniente daltarantino piu’ famoso d’Italia, ossia Pino Aprile autore del best seller Terroni, giornalista encomiato e fautore del Movimento Equita’ Territoriale oggi realta’ politica innestata sulla esclusiva salvaguardia del Sud.

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